‘900 a Cervinara


Al progresso civile ed economico di Cervinara contribuirono, nei primi anni del 1900, la costruzione della ferrovia Benevento-Cancello, la realizzazione di un acquedotto locale e la nascita di una centrale elettrica. Il nuovo secolo si era aperto senza grandi cambiamenti nella vita politica e amministrativa di Cervinara: i possidenti mantenevano le loro proprietà; i contadini, servendosi delle proprie braccia, si affacciavano al mondo con la speranza di sempre.

Continuavano a dividere il raccolto con i proprietari, a portargli i capponi nelle ricorrenze civili e religiose, riuscendo a stento a mettere da parte i pochi risparmi che certo non sarebbero bastati ad acquistare terreni, ma a dare vita a quel triste fenomeno che è l’emigrazione. Pur tuttavia, qualcuno, spostatosi verso il borgo, riuscì a mettere in piedi un’attività artigianale. Il rimanente basso ceto, i figli dei braccianti, dei giornalieri, degli artigiani, nonché qualche sporadico possidente, scelsero però nell’emigrazione la soluzione più giusta ai propri problemi. Alcuni avevano preferito abbandonare la vita rurale già alla fine del secolo scorso, in vista di più facili e immediati guadagni oltreoceano.

Chi c’era stato, e aveva fatto “fortuna”, anche come scaricatore di porto o come minatore, era ritornato diffondendo tra il popolo l’immagine di un’America ricca e florida. Seguendo le orme di quegli “avventurieri” imbarcatisi al porto di Napoli, si partì sempre più spesso, sperando nella stessa fortuna. Ma l’imminente scoppio della Prima Guerra Mondiale richiese quelle braccia al fronte: la grande emigrazione era rimandata. Molti cervinaresi non fecero più ritorno. Poveri soldati come Amatiello, Befi, Bizzarro, Bove, Buccieri, Campana, Calabrese, Garofalo, Ceccarelli, Cerasuolo ed un altro centinaio, come risulta dall’elenco ufficiale dell’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi di Guerra, non fecero più ritorno.

I reduci si ritrovarono nuovamente nei campi, stavolta incolti. Anche i vecchi capivano: la campagna non poteva continuare a dare, ai loro figli, ciò di cui essi si erano accontentati.

L’indelebile marchio del “servo della terra” doveva scomparire; la guerra aveva riaperto le speranze: gli stenti erano abrogati. Si sentiva il bisogno di una vita diversa, in direzione di Napoli, oppure, della cara vecchia America. Più di 4 milioni di italiani entrarono negli Stati Uniti nei decenni a cavallo del secolo. Sono contadini del Mezzogiorno, inseriti d’impatto nel processo di sviluppo industriale americano di quegli anni. Quasi un terzo di essi si stabilirono a New York, diventa quasi una grande città “italiana”.

E’ un’altra piccola Italia, la Little Italy. Fu questo uno dei motivi che spinsero il governo degli Usa ad emanare delle leggi restrittive, impedendo l’ingresso agli analfabeti di razza bianca, riducendo gli italiani ammessi ogni anno a 3.845 unità contro i 409.239 che si erano recati in America nel 1920 procurando un dissesto nell’equilibrio demografico della regione Campania. Avellino era l’unico centro della provincia a superare i 10.000 abitanti tra il ‘21 ed il ‘31. Anche Cervinara diede il suo contributo. Ma quanti degli oltre 200 cervinaresi che nel 1930 ancora restavano in contatto col paese natio fecero fortuna? Potremmo parlare di Gaetano e Antonio Clemente, Antonio e Pasquale Sorge, Antonio Martone, Onorio Ruotolo, del dottor Salvatore Brevetti, di Antonio Mercaldi, Antonio Leparulo, Ferdinando De Dona, Carmine Russo, Nicola Villacci, Alberto Milanese, Carmine Clemente, degli Onor Prisco e Nicola Vecchione.

Ma gli altri fecero veramente fortuna? Addirittura c’è chi sottoscrisse somme per il monumento da erigersi nella piazza di Cervinara e mai pagò, forse per miseria, forse per errore, forse per dispetto. Gente come Carmine Buccieri, Salvatore Brevetti, Angelo Cillo, Emilio, Raffaele e Giuseppe Cioffi, Domenico Cappabianca, Pasquale Del Balzo, Francesco D’Agostino, Giovanni Finelli, Francesco Formato, Luigi e Andrea Iuliano, Francesco Lippoli, Domenico e Francesco Mercaldo, Giuseppe Madonna, Pasquale Taddeo, Orazio Vaccarelli, Antonio Zucale, la signora e la signorina Villacci.

Con quest’ultima famiglia dovette accadere qualche diverbio di cui nulla sappiamo se è vero che Nicola Villacci, tempo addietro, aveva offerto ben 900 dollari (verdoni americani del 1930) che mai sborsò alla giusta causa. “Molti in Italia o in Europa”, scriveva il Cavaliere Gaetano Clemente, “hanno la convinzione che l’America è la terra dell’oro; è la terra dove si inciampa contro la ricchezza e che per divenire ricco basta semplicemente volerlo – sogni chimerici!”. Chissà quanti cervinaresi, intrapresa una carriera e gettatisi negli affari, fecero marcia indietro, “ritirandosi scoraggiati dopo averci rimesso del tempo prezioso per lanciare la loro impresa e soprattutto dopo avere assorbito fino all’ultimo soldo che avevano messo da parte a furia di stenti e privazioni”.

Il Cavaliere Clemente scrisse che i suoi primi affari furono di una meschinità unica. Lui non pensava classicamente “Quello che non guadagno finanziariamente adesso lo guadagno in cognizioni che domani mi daranno quello che rimetto oggi”. Che tradotto in dollaroni, pardon, in soldoni, significa che o guadagni da subito o cambi mestiere.

Nato a Cervinara nel 1865, si può dire che Gateno Clemente, alla stregua dei fratelli Palermo, fu il cervinarese più fortunato d’America. Emigrato nel 1902, dopo aver sperimentato le proprie capacità con i primi lavori stradali in Valle Caudina, cercò subito qualcosa da fare a più ampio respiro, fino a farsi un nome nell’ambiente edilizio e arrivando a fondare la Clemente Contracting Company del Bronx, una ditta che, prima di espandersi, si occupava appena di escavazioni e di costruzioni, realizzando tunnels e fondamenta sull’isola di Manhattan.

Fra le opere più importanti ricordiamo gli edifici che formarono il più grande Medical Centre del mondo a Washington Height dove sventolò alto il tricolore, oltre alcune strade newyorkesi alle quali furono dati i nomi dei due illustri connazionali Casanova e Barretto.

Il Cavaliere impiegava solo mano d’opera italiana. Un uomo che si fece da sé: un vero ed autentico “self-made man”. Altre opere del suo ingegno furono il Polyclinic Hospital, alcuni edifici della Fordham University ed altri edifici importanti, contribuendo anche all’erezione e al mantenimento della Casa Italiana di Cultura presso la Columbia University, elargendo inoltre somme per ospedali e chiese.

Ed a lui si deve anche l’erezione del monumento ai 100 caduti della Grande Guerra, per esclusiva contribuzione dei cervinaresi d’America, ricevendo medaglia d’Oro alla esposizione e Fiera Campionaria di Tripoli, sotto l’alto patronato di Benito Mussolini. Egli si recherà a Cervinara per inaugurare personalmente il monumento ai caduti eroici, opera di grande valore ideata e scolpita da un mago dell’arte, anch’egli cervinarese, popolarissimo all’epoca, Onofrio Ruotolo. Clemente, insomma si circondò sempre di cervinaresi, come nel caso di Carmine Clemente, presidente della Clemente Brothers, e Antonio Mercaldi, che raccolse i fondi per il monumento nel banchetto del giugno 1927, nella Lotteria, nel Concerto e Ballo del 1928, alla festa di San Clemente, nella pubblicazione di un “souvenir”. Il monumento che ancora vediamo nella piazza di Cervinara fu inaugurato il 17 agosto 1930, con un solo pensiero “clementiano” rivolto agli orfani: “Vivere pericolosamente – abbiate fede in quello che fate ed il successo sarà vostro”.

Fra quegli eroi ricordiamo: il maggiore di fanteria Michele De Dona, ch’ebbe medaglia d’argento l’11 aprile del 1918 per aver dato l’assalto ad una posizione avversaria difesa da mitragliatrici e fucilieri il 25 agosto del 1927 a Tolmino; il sottotenente Giuseppe De Maria, medaglia di bronzo alla memoria; e i soldati Pietro Ferraro e Giovanni Girardi, anch’essi medagliati col bronzo.

I cervinaresi d’America, a dire il vero, sono stati sempre uniti. Fin dal 1915 avevano scritto un’altra pagina di patriottismo e di fratellanza, organizzando la Loggia Cervinara Valle Caudina del grande Ordine Figli d’Italia in America, grazie ad Antonio Mercaldi, Michele Battuello e Luigi Moscatiello che aggregarono consensi nel Circolo Educativo Cervinara, dove i compaesani si riunivano quotidianamente.

Un circolo con a presidente Mercaldi, a vice Arcangelo Ricci, Pasquale Moscatiello a segretario; Domenico Cappabianca era il cassiere, Antonio Martone il provveditore (detto Zì Totonno), Giuseppe Moscatiello e Giuseppe Cioffi, i curatori.

Una Loggia di tutto rispetto con il venerabile Vincenzo Baldini, l’assistente Silvio Rosati, l’ex venerabile Pellegrino Moscatiello, l’oratore Luigi Moscatiello, i segretari Andrea Bello e Otello Rapini, i curatori Michele Battuello, Raffaele e Daniele Ricci, Francesco Formato e Antonio Fogliani, i cerimonieri Luigi Battuello e Florio Stumpo, la sentinella Felice Cataldo e il medico sociale Salvatore Brevetti.

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