Tammorra


E’ lo strumento principe della tradizione campana e vanta origini antichissime. Accompagnava il duro lavoro dei campi, ma era anche il mezzo per l’approccio amoroso, la conquista della donna e dell’uomo che solo in queste occasioni godevano di una relativa libertà. Ci s’incontrava sulle aie, sui campi, quando al termine della raccolta stagionale, si festeggiava. Era legato a culti lunari e ritenuto strumento essenzialmente femminile. Oggi diffusa in tutto il Mediterraneo, la tammorra, detta anche tammurro, accompagna sia il canto che il ballo tradizionale ed è usata da sola o con altri strumenti a percussione. Le origini della tammurriata si perdono nella notte dei tempi; essa è senza dubbio una delle più sensuali e seducenti forme di ballo ed affonda le sue origini nelle antiche danze greche e, probabilmente, nelle antiche danze delle genti campane, come i Sanniti. Per nostra fortuna e nonostante i secoli trascorsi la tammurriata ha mantenuto i tratti fondamentali delle antiche danze, continuando a rappresentare i riti della sessualità e della fertilità connessi alla terra intesa come madre di ogni cosa e, quindi, fonte della vita.

‘O BALLË ‘N COPP’O TAMMURRË

Il ballo sul tamburo in Campania

Sottogruppo etnocoreutico dell’ampia famiglia della tarantella dell’Italia meridionale, è diffuso in Campania, lungo la costa tirrenica e nelle aree immediatamente interne, a partire dal casertano (un tempo comprendente anche territori dell’attuale basso-Lazio), all’area domiziana, a quella vesuviana sino al Nolano nell’interno, all’agro nocerino-sarnese e ai Monti Lattari e alla penisola sorrentina. Sono stati individuati sinora almeno quattro sub-generi tipologici diversi del ballo sul tamburo: quello domiziano (con forte corrispondenza tra repertorio sonoro e musicale), quello vesuviano (ancora ben tenuto e strutturato), quello lattaro (tendente alla “vutata” in direzione oraria) e quello sarnese-nocerino (in stato di avanzata corruzione, oggi ballata con la tendenza a ridurre gli elementi strutturali ed esaltare le movenze di anche). Detta fino ad alcuni decenni or sono semplicemente o ballë, sottolineava col nome la supremazia di questa danza su altre passeggere o di moda presenti nell’area suddetta. Spurio sembra essere nello stesso territorio il nome di tarantella, sentito dagli anziani quasi come un’imposizione cittadina della capitale partenopea. Un rilevante ruolo svolgono le braccia in questa danza, le quali “parlano” gestualità diverse, tutte codificate dalla tradizione. Il movimento dei polsi e delle avambraccia sono funzionali alla necessità di far schioccare le castagnette, tenute in entrambe le mani. In molte feste della zona oggi si assiste ad una eclettica e corrotta forma urbana di “tammurriata” da parte dei giovani, una versione moderna che annulla le differenze stilistiche e simboliche

locali e che ha invaso e sopraffatto modi e regole del ballare tradizionale. Parallelamente alla domanda di ballo, spuntano qua e là anche improvvisati e fantasiosi studiosi, assillati più dal supporre improbabili ascendenze storiche e mitologie coreutiche estetico-dionisiache nell’antichità classica che dal bisogno di indagare in profondità con ricerche etnocoreutiche sul campo o con reperimento di fonti storiche certe.

Proponiamo alcune segnalazioni bibliografiche sull’argomento:

De Simone Roberto, La tradizione in Campania, Roma, Lato Side, 1979.
– Gala Giuseppe Michele, Feste e tamburi in Campania, compact disc con libretto interno di 24 pp., Collana “Ethnica”, Edizioni Taranta, 1999.
– Gorgoni Patrizia, Rollin Gianni, Tammurriata. Canto di popolo, Altrastampa Edizioni, Napoli 1997.
In campo discografico consigliamo:
Gruppo Contadino della Zabatta, Canti del Vesuviano, Collana Fonit Cetra LPP 376, 1978.
De Simone Roberto (a cura di), La tradizione in Campania (7 lp), Milano, EMI, 1979.
De Gregorio Sergio (a cura di), Musiche e canti popolari della Campania, Collana “Albatros”  1979.Gala Giuseppe Michele (a cura di), Feste e tamburi in Campania, Collana “Ethnica”, Edizioni Taranta, 1999.

Lo strumento. La tammorra è un grosso tamburo a cornice con la membrana di pelle essiccata (quasi sempre di capra o di pecora) tesa su un telaio circolare di legno. Se la pelle non è tesa bene basta avvicinare la tammora da una fonte di calore. Il diametro varia dai 30 ai 60 centimetri. L’asse di legno che compone il cerchio (cornice) può arrivare fino a 15 cm. di altezza ed è bucato tutt’intorno da nicchie rettangolari dove vengono collocati i sonagli di latta, detti ciceri o cimbali. In loro assenza la tammorra è definita muta, caratterizzata da un seducente suono cupo. Sovente i costruttori usano abbellire lo strumento con l’aggiunta di nastrini colorati e decorarlo con piccoli motivi floreali dipinti lungo la cornice o con scene di argomento cavalleresco affrescate sulla pelle. La tammorra non va confusa con il tamburello, che è molto più piccolo, con i cembali di ottone e non di latta. Oggi, tamburelli e tammorre sono costruiti da artigiani specializzati, localizzati principalmente in Campania (Gragnano NA, S.M. Capua Vetere CE, Scafati SA), in Puglia (Ostuni BR, Nociglia LE) e in Calabria (Seminara RC). Voglio ricordare qualche valente costruttore/suonatore che si può incontrare nei vari appuntamenti di musica popolare: Raffaele Inserra, Antonio “O’ Lione” Matrone, Davide Conte, Angelo ”Cignale” Giuliani. Particolari sono i tamburi a cornice di Gerardo Masciandaro e di Paolo Simonazzi. Valenti percussionisti utilizzano questo strumento in modo solistico o come accompagnamento alla sola voce, un nome su tutti: Alfio Antico.

Come si suona. Si impugna il telaio dal basso con una sola mano, tenendolo perpendicolarmente al corpo, mentre la pelle viene percossa ritmicamente dal palmo e dalle dita dell’altra mano. Il modo di impugnare la tammorra è importante anche da un punto di vista rituale: accade, infatti, che quando lo strumento è impugnato con la mano sinistra e percosso con la destra si dice che viene suonato nella maniera maschile. All’opposto, invece, si dice che viene suonato nella maniera femminile e ciò perché il lato destro è identificato nelle antiche culture con l’idea dell’uomo, mentre il lato sinistro con l’idea della donna. L’inversione dell’impugnatura dello strumento indica un rovesciamento dei segni del rituale. Molto complessa è la tecnica usata per suonare la tammorra, poiché richiede qualità musicali e ritmiche non comuni accompagnate, inoltre, da una resistenza fisica notevole poiché lo strumento dev’essere spesso suonato per delle ore senza che il musicista possa cedere nella costanza del titolo. Critica è, ad esempio, la posizione da tenere per equilibrare il peso e lo strumento in modo da non affaticare eccessivamente il braccio. Non esiste, in proposito, una regola generale in quanto ogni suonatore trova una sua maniera per equilibrarsi costruendo una tecnica alla quale partecipa tutto il fisico.

Dove si usa. La tammorra accompagna sia il canto che il ballo tradizionale dell’Italia Meridionale, in particolare in Campania, dove è usata da sola o con altri strumenti a percussione, quali le castagnette – dette anche nacchere -. Sono uno strumento ritmico formato da una coppia di piccoli elementi simmetrici di legno a forma di conchiglia, tenuti legati assieme da una cordicella e che, chiusi, assumono la forma di una castagna, da cui deriva sicuramente il nome. Ogni coppia viene tenuta nel palmo di ciascuna mano, con la cordicella infilata tra le dita, e questo strumento viene per lo più impugnato da coloro che ballano la tammorriata. Qui la forma musicale, ad andamento essenzialmente binario, dallo strumento deriva il nome di tammurriata o anche di canzone ‘ncopp ‘o tammuro (canto sul tamburo). A tale struttura ritmica corrisponde una particolare scansione metrica di sei versi, di undici sillabe, che durante il canto subisce però modifiche sia nel numero delle sillabe, che nell’organizzazione. In special modo nell’area vesuviana, la tammurriata emerge durante occasioni ludiche e sopratutto rituali-cerimoniali, quali i frequenti pellegrinaggi devozionali alla Madonna. I “tammurrari” si davano appuntamento ‘nnanz’a Chiesa e da qui, accompagnati da carri tirati da buoi o cavalli e addobbati con fiori e nastri colorati, suonando e cantando a squarciagola, partivano per il santuario di destinazione. Nel corteo trovavano posto numerosi danzatori che improvvisavano balli accompagnandosi con le “castagnette”. L’esecuzione ritmica viene affiancata da una particolare scansione dei versi, generalmente undici sillabe, che durante il canto subisce modifiche strutturali e modulazioni sempre diverse. Molto viene lasciato all’improvvisazione ed alla fantasia. I canti spesso esulavano dai contenuti religiosi traendo ispirazione dalla vita di tutti i giorni: l’amore e il corteggiamento “in primis”; ma trovavano spazio anche altre attività come i canti di lavoro, di sdegno e di protesta. Recentemente, più spesso nelle tammurriate si raccontano (o si millantano) avventure erotiche”. Non è solo un genere musicale ma un momento di espressione collettiva attraverso il canto, il ritmo, la danza.

Un po’ di storia. La storia della tammorra, rivissuta attraverso lo studio dei reperti archeologici e delle opere d’arte presso quei paesi che si affacciano sul Mare Mediterraneo prende inizio da alcune statuette fenicie di figure femminili, raffiguranti forse sacerdotesse della dea Astarte recanti un disco riconducibile ad un tamburo a cornice, conservate presso il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Alcune pitture di origine greca mostrano donne nell’atto di suonare un tamburo simile all’attuale tammorra denominato tympanon. Questo strumento ha quasi sempre due pelli (vista la presenza di maniglie o di legature a forma di X e di V sul profilo della cassa) tese su un telaio circolare di legno o di bronzo tenuto verticalmente e percosso con la mano nuda. Presso i romani, lo ritroviamo col nome di timpanum. In un mosaico di Pompei conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli tale tamburo è raffigurato in mano ad uno strumentista, forse un ambulante, che lo percuote tenendo la pelle rivolta verso il basso. Una tecnica di esecuzione, questa, utilizzata per suonare l’attuale tammorra in Italia Meridionale e che si osserva presso tutte le popolazioni del Mediterraneo e del vicino Medio Oriente che utilizzano tamburi di tale forma. La musica del Medioevo eredita quasi tutti gli strumenti a percussione dell’Evo Antico e la tradizione popolare conserva il grosso tamburo detto poi tammorra per scandire il ritmo durante i balli a Corte. La musica colta rinascimentale non disdegna l’utilizzo di questo strumento, dal momento che esso viene raffigurato nelle mani di angeli musicanti o nelle tarsie dei cori delle chiese, in cui si evidenzia l’uso del tempo di sospendere dei sonagli al telaio o anche di applicare la bordoniera (una corda posta sulla pelle per dare allo strumento il suono rullante). Nel mondo greco, la danza veniva considerata dono degli dei agli uomini e mezzo per questi di accostarsi alla divinità fino ad identificarsi con essa, unico modo per raggiungere, almeno idealmente, l’immortalità. Il dono del movimento del corpo era quasi sempre una vera e propria pantomima che rappresentava miti e celebrazioni di figure divine e mitologiche. In quel tempo i danzatori ellenici si muovevano con gesti corporei strettamente collegati alla voce ed alla musica per il raggiungimento dell’ebbrezza terrena. Con la nascita del teatro greco, a partire dal V secolo avanti Cristo, queste danze furono schematizzate affinché entrassero a far parte delle sue rappresentazioni.

Alcune di queste antiche danze , appartenenti o no al teatro, presentavano gesti caratteristici che si ripropongono nella figurazione tematica dell’odierno ballo su tammorra; questi sono testimoniati da citazione letterarie, dipinti, raffigurazioni su vasi, da un’infinità di sculture e bassorilievi disseminati in vari musei del mondo. Quelli riproposti nell’odierna danza campana sono soprattutto due: il primo è la cheironomia, cioè la posizione assunta dalle mani nel corso del ballo, molto importante poiché attraverso di essa si esplicitano particolari sentimenti ed emozioni; il secondo gesto e il saltare di tipo demoniaco che agita tutto il corpo. Entrambi questi movimenti erano eseguiti dai satiri, adoratori del culto di Dioniso e Cibele. La danza dei satiri descritta, probabile antenata della nostra tammurriata, si chiama sìkinnis, e si ballava nel naos, il tempio divino. Continuando la storia delle antichissime origini del nostro ballo, possiamo ancor osservare che le danze bacchiche sostituirono, più tardi, in Grecia la sìkinnis. Queste nuove danze, sempre in onore del dio Dioniso, erano costituite dalla elevazione ritmica delle braccia, da piccoli passi e dall’agitazione di tutto il corpo. Tutti questi movimenti servivano alle baccanti ed alle sacerdotesse del dio per giungere a furore erotico. La danza delle baccanti o menadi, cioè delle donne seguaci di Dioniso, era detta turbé, una danza fortemente oscena eseguita di solito durante i riti auspicanti fecondità. Nella schematizzazione della danza dionisiaca confluì anche la gestualità della pirrica greca, anch’essa presente, seppure travisata, anche in alcuni tipi di tammorriata. Le danze pirriche erano di carattere giocoso, ma anche guerresco e venivano eseguite da un’amazzone armata di lancia e di un piccolo scudo ed anche da un sileno che le protendeva la tipica pelle di daino, propria dei cultori di Dioniso. Nello stesso tempo, però, i satiri parodiavano mimicamente la mancanza di coraggio dei cultori della vita agreste ed in alcuni casi sembrano danzare in preda alla più accesa paura: cadono in ginocchio e stendono un braccio come se tentassero di allontanare un oggetto abominevole, oppure, sempre in ginocchio, poggiano la mano destra in terra e la  sinistra sulla testa. Una splendida decorazione pittorica su di un vaso conservato nel museo archeologico nazionale di Napoli raffigura due satiri che attorniano, danzando, un kelebe colmo di vino, inginocchiandosi e volteggiando con le gambe sino ad arrivare ad incastrarle. Tutte queste movenze satiriche sono riscontrabili in atteggiamenti coreutici della tammurriata campana. Un’altra danza rituale greca, eseguita dai giovani durante la vendemmia e caratterizzata anch’essa da un’azione mimica, è detta epilenios; il suo movimento gioioso ed estatico, cadenzato dal ritmo della cetra e dal suono delicato delle tibie, si può rilevare in alcune movenze tammorrare. Con questa ritualità mimetica sono rappresentate tutte le azioni svolte dai vignaioli durante il periodo della vendemmia. Tra le danze allegre appartenenti al genere teatrale, bisogna ricordare soprattutto la kordax; quest’ultima appartiene al genere della commedia greca di tipo orgiastico ed è caratterizzata da movimenti eccitanti, in particolare dal movimento turpe dei fianchi. Altro importante elemento di questo tipo di danze rituali è il luogo dove si svolgono. Per i popoli antichi era lo spazio antistante il tempio del dio, oggi, in una ideale continuità con il paganesimo, il sagrato o la piazza antistante la chiesa della madonna o del santo.

Il ballo. La tammurriata è una danza a coppia, ed esprime rappresentazioni rituali che non riguardano mai il quotidiano, quanto, piuttosto, tutto ciò che il quotidiano nega e reprime. Non deve, quindi, essere associata alla tradizionale danza d’amore, cosa che invece può rappresentare la tarantella. Il ballo r’ ‘e campagnole, ossia il ballo dei contadini, è costituito da una gestualità ritualizzata che, nel momento collettivo, assume un significato simbolico e magico. I suoi gesti possono essere spontanei, derivati da gesti che si effettuano durante il lavoro quotidiano nei campi o in casa, come setacciare la farina o spezzare i maccheroni, oppure imitazioni degli atteggiamenti degli animali come il volo degli uccelli e le gestualità tipiche dei gallinacei. Quando la musica comincia a scandire il suo tempo, tra i potenziali ballatori, attraverso un gioco di sguardi avviene la ricerca del partner, poi l’incontro tra i due ed, infine, la formazione della coppia di ballerini. Nella prima fase del ballo sembra che i due danzatori cerchino la giusta intesa tra loro ed assaporino bene il ritmo della tammorra, sul quale poggia anche il canto, e ballando, cominciano anche a saggiare il loro rapporto con lo spazio. In questo momento di ricerca i due esprimono la loro volontà psicologica di possedere un proprio spazio entro cui agire protetti sia dalla barriera che si è venuta a creare tra la coppia sia da quella formata dagli astanti i quali, a loro volta, sono sempre dei potenziali partecipanti alla danza stessa visto che potrebbero intervenire in ogni istante. Durante l’esecuzione della tammurriata, infatti, non esistono attori e spettatori, non vi sono barriere tra i partecipanti alla festa, né esistono palcoscenici,  ma si formano spontaneamente dei cerchi con tutti i presenti all’interno nei quali si fondono, in un tutt’uno, suonatori, cantatori e spettatori. Il cerchio simboleggia la volontà umana di sfuggire il tempo canonico, si tenta, attraverso di esso, di fermarlo almeno per quel momento di festa donato alla divinità. Il duro vivere quotidiano viene così dimenticato ed esorcizzato. Il cerchio formato dagli spettatori serve a potenziare le energie umane dei partecipanti alla tammurriata; nel suo interno la danza si svolge regolarmente sempre sulla ritmica dello schioccare delle castagnette, tenute in mano un po’ da tutti  tra gli sguardi fissi e reciproci dei ballatori. In alcuni momenti di spontaneo eccitamento, però, la frase musicale che segue la scansione ritmica dei versi del cantatore, tende a stringere gli accenti; in questo momento uno dei due danzatori comincia ad assumere un ruolo aggressivo di evidente atteggiamento amoroso o di sfida, assecondato o scacciato dall’altro. Quest’ultimo può allora indietreggiare, perché incalzato dal compagno o dalla compagna, oppure decidere di accettare il corteggiamento o il duello. Questa fase del ballo è la più coinvolgente e frenetica ed è chiamata rotella o vutata. La vutata è dunque il simbolo della sfida o dell’accoppiamento, ma può risultare da parte della donna un rifiuto dell’uomo che la sta corteggiando; la coppia, allora, si può spezzare ed in questo momento può entrare, per formare una nuova coppia, un altro personaggio, come nuovo potenziale corteggiatore. In questa fase si modificano anche la ritmica e la parte cantata, infatti la tammorra batte in uno, il cantante canta su una nota sola molto prolungata, o aggiunge dei versi più brevi per seguire i due danzatori che girano su loro stessi quasi incatenati. In questo momento della vutata si assiste alla totale liberazione ad allo sblocco di tutte le tensioni muscolari. Nella girata l’andamento della danza, nella maggior parte dei casi, è antiorario. Non c’è limite di tempo alla danza se non quello di sfinire, raggiungere, con la perdita della coscienza, l’acme che dischiude nuovi orizzonti prima sconosciuti. Il ballo non è soltanto frenesia, e neanche semplice stato di ebbrezza, ma è puro invasamento divino. Non esiste scuola per imparare questo ballo, ma solo iniziazione; quando si è ragazzi si comincia a ballare con gli anziani ed allora bisogna solo seguire i passi senza prendere l’iniziativa. Seguire lo sguardo di colui che guida è importantissimo, soltanto guardandosi sempre negli occhi si può entrare perfettamente in sintonia. La tammurriata descritta sino ad ora ha delle caratteristiche ben precise, ma vi sono delle differenze a secondo dei luoghi dove si balla; vicino al mare ed in pianura , ad esempio, la danza è stata sempre considerata un avvicinamento sensuale ed amoroso, mentre tra le montagne la necessità di conquistare le vallate le hanno conferito delle caratteristiche più dure e scattanti, quasi guerresche. La tammurriata scafatese è sicuramente certamente la più ballata ed il suo fine è essenzialmente di natura sensuale; la paganese è più saltellante rispetto alla prima; i ballerini presentano minori momenti di attaccamento e la stessa vutata mantiene i ballerini distaccati. In questo tipo di tammurriata che si può osservare a Pagani e nei paesi limitrofi, il corteggiamento sembra lasciare il posto ad una sfida tra i ballatori. Un terzo tipo di tammurriata è la giuglianese; la sua caratteristica principale è costituita dalla presenza del doppio flauto, del tamburello e dello scacciapensieri; il ritmo, (il sisco) inoltre, è più veloce, quasi ossessivo.

L’ultimo modo di ballare che prendiamo in considerazione è quello dell’avvocata, in onore della Madonna dell’Avvocata a Maiori (SA). La sua caratteristica fondamentale è nella presenza di un numero elevato di tammorre suonate contemporaneamente che può arrivare sino a dieci. C’è una tammorra principale che guida il tempo e, insieme alla voce, dà il numero dei colpi della vutata secondo il testo delle barzellette intonate. Qui la musica e i movimenti sono veri e propri richiami guerreschi, incitamento agli uomini nei momenti di combattimento.

La tammurriata: intervista a Vicidomini Giovanni Articolo di Giuseppe Mauro in:  TAMMURRIATE, a cura di Antonello Lamanna.
Adnkronos libri, Roma, 2004, pagg. 212-215.

Sono trascorsi poco più di venti anni da quando “Tammurriata Nera”, brano portato al successo dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, entrava e restava nella Hit-parade nazionale per diverse settimane. La tammurriata era divenuta per tutti, “d’incanto”, un brano notissimo, perfino da hit, le cui parole – più o meno correttamente – le avevano imparate tutti. Ma cosa si era “imparato”? Un testo di E. A. Mario ispirato all’immediato dopoguerra napoletano, quando Napoli viveva le tragedie, la fame e le miserie della distruzione bellica, magistralmente raccontate in teatro da Eduardo De Filippo in “Napoli Milionara”. “D’incanto” si ascoltava la tammurriata, “d’incanto” sì, tra virgolette -la sottolineo- perchè si saltavano a pié pari almeno 25 secoli di storia e 25 secoli di tammurriate. Che cos’è la tammurriata, com’è possibile che sia databile 25 secoli addietro? Esiste tutt’oggi? Trattare esaustivamente 25 secoli di storia è impossibile, ed in tutto questo tempo tanto si è scritto e documentato (ed anche travisato); tuttavia, negli ultimi anni ’90, che hanno visto il fiorire in tutta Italia di gruppi musicali, corsi di ballo e di apprendimento della tammorra, è sentita la necessità di fare chiarezza. Numerosi sono stati gli Autori che, anche autorevolmente, se ne sono occupati. Per la ricerca etnomusicologica Giovanni Vicidomini, responsabile del C.R.C., Centro per la Ricerca e la Conservazione delle tradizioni popolari di Nocera Superiore (Salerno). La ricerca etnomusicologica. Risponde Giovanni Vicidomini.

– Come è possibile che la tammurriata sia databile 25 secoli addietro? – La tammurriata si esegue prevalentemente in occasione dei pellegrinaggi ai numerosi santuari mariani presenti nell’entroterra campano, santuari dedicati quasi tutti a Madonne “sedute” (Montevergine, Dell’Arco, ecc.). Ad un’attenta analisi, le attuali Madonne campane hanno, proprio nel fatto che sono “sedute”, una radice pagana. Infatti, la loro rappresentazione “seduta” è – in qualche maniera – la trasposizione cristiana del culto pagano di Demetra, la madre terra, figlia di Crono e di Rea, quindi sorella di Zeus, dea delle messi, in genere legata all’agricoltura, che veniva appunto raffigurata seduta. Attributi di Demetra erano la fiaccola, il covone di grano, il maiale, elementi esistenti anche nell’attuale rappresentazione di alcune Madonne. Ebbene, al culto di Demetra si associava un ballo, con l’uso di un tamburo molto simile all’attuale tammorra, che veniva percosso con la mano nuda, e le prime figurazioni le abbiamo in ritrovamenti archeologici, bassorilievi, affreschi, opere d’arte, databili al V secolo a.c. In epoca latina si adorava Cerere, dea anch’essa della vegetazione e delle messi, e in suo onore si celebravano le Cerealia, feste che si svolgevano nel mese di aprile, care ai contadini.

– Quanti sono i tipi di tammurriata? – Numerosi: il denominatore comune è il suono con il ritmo portante scandito dalla tammorra; tuttavia ci sono molti modi di suonare, cantare e ballare la Tammurriata, che variano da località a località. Preferire l’uno all’altro è questione di gusti e senz’altro di campanilismo. Così come ogni suonatore, cantatore, ballatore fa delle piccole varianti, tutte proprie. Cambia anche l’impiego degli strumenti, oltre alla irrinunciabile tammorra. La tammurriata viene anche chiamata “canto ‘ncopp’ ‘o tamburo” (canto sul tamburo) proprio dall’impiego del “tammurro” (tamburo) da cui non si può prescindere.

– Tamurriata e/o Tarantella, possono sembrare la stessa cosa? – No, la tarantella è un ingentilirsi della tammurriata. Si ingentilisce lo strumento: grande, pesante, un po’ grezza la tammorra, anche più povera per i cembali di latta; più gentile il tamburello, più piccolo, leggero, con cembali di ottone, finemente decorato. Mentre la tammurriata è lenta ed impostata su un ritmo binario, la tarantella è veloce e con figure ritmiche ternarie. La tammurriata nasce e resta popolare, legata al mondo contadino e nessun “autore colto” ha musicato tammurriate, mentre musicisti e parolieri di livello hanno scritto bellissime tarantelle: uno per tutti, Rossini. La tammurriata si balla sempre in coppia, tarantella invece la si balla anche da soli: come non ricordare i passi del “Pazzariello”? Anche il canto de “Lo Guarracino”, pezzo forte della tradizione, era serrato e frenetico. La perdita della memoria storica, la ricerca del decoro sociale, il desiderio di affinare i passi di danza hanno ridotto un ballo con funzione rituale nelle campagne a tranquilla canzone da salotto della piccola, ma veramente piccola borghesia, di città. Una borghesia vergognosa del proprio passato plebeo. Storia a sé segue la “Tarantella di Montemarano” (Avellino), strettamente carnascialesca, ricca di controtempi ed accelerazioni e la velocissima “Pizzica” pugliese, parenti strette della primordiale tammurriata.

– Ma la tarantella è più famosa della tammurriata? – Direi di sì, perché la tarantella è più legata a Napoli, città evolutasi e cresciuta anche musicalmente fino a divenire poi capitale del bel canto e certamente più famosa delle campagne dell’entroterra. La tarantella “entra a Corte”, per la sua esecuzione si impiegano “strumenti colti”, la tammurriata no: nasce e resta contadina, “ballo ‘r ‘e campagnuole” (ballo della gente di campagna).

– Perché la tammurriata è presente, anche se con molte varianti, solo nel sud Italia? – Collego il culto di Demetra alle colonie della Magna Grecia, quindi fin dove giunsero gli antichi Greci in Italia, e la tammurriata resta nell’entroterra campano in quanto collegata strettamente al mondo agricolo, quale culto alla divinità prima pagana e poi cristiana che protegge le messi, il raccolto. Oggi sopravvive con difficoltà, causa il graduale ma costante abbandono delle campagne, con la perdita di tutto un rituale contadino in cui si inserisce il pellegrinaggio di ringraziamento, con la festa, il suono, il canto ed il ballo. Inoltre anche i giovani dediti tutt’oggi all’agricoltura sono portati più a seguire i modelli massificati della musica leggera ed elettronica, da discoteca, che a far rivivere le musiche ed i balli dei padri.

– Ma forme di tammorra, nei decenni scorsi, sono state segnalate da etnomusicologi anche in Friuli e in Valle d’Aosta. Come si può spiegare? – La presenza della tammorra in alcune parti del nord Italia è collegabile al consistente flusso migratorio, proprio delle genti delle campagne meridionali, che portavano con sè la propria tradizione, e quindi la tammorra.

– Molti ricercatori ed etnomusicologi hanno riproposto la tammurriata in sala di incisione, per incidere dischi e raccolte di testi di tammurriate, e numerosi sono i gruppi, anche folkloristici che propongono il ballo della tammurriata. Qual’è il tuo punto di vista? – La vera tammurriata è quella che si esegue sul posto del pellegrinaggio, suonata, cantata e ballata per ore intere, con cospicue bevute di vino che aiutano a conferire a tutta la festa quel senso liberatorio e abbandonare – anche se per poco – gli incessanti e faticosi ritmi della vita contadina. Estrapolare la tammurriata dal suo contesto vuoi dire snaturarla, travisarla, ridurla a fenomeno da baraccone, o a stereotipo di sottocultura.

– Il Centro per la Ricerca e la Conservazione delle tradizioni popolari come opera? – Il CRC è un’associazione culturale… è riconosciuto anche dalla Regione Campania, quale Associazione di rilevante interesse culturale (Bollettino Ufficiale della Regione Campania N. 6/94) e collabora con Università e Scuole per seminari (teorici e pratici) e conferenze.

– Come vedi il futuro della tammurriata? – I vecchi, bravi suonatori, “cantatori” e “ballatori” (come vengono chiamati) sono in estinzione. I giovani che si avvicinano alla tammurriata oggi, forse, provengono più dalle città che dalle campagne. Il modo di cantare, le parole usate, gli antichi testi si stanno perdendo, e non ha senso cantare una tammurriata leggendo un foglio scritto, quando invece “i vecchi” ricordavano o improvvisavano, narrando, splendidamente ai momenti. C’è molta attenzione al “fenomeno” ma scarsa dedizione, anche perché la tammurriata faceva (ed ancora fa) parte della vita contadina, sempre più aggredita nei suoi valori fondamentali dalla “civiltà moderna”. Molti giovani la seguono, ma una metamorfosi è inevitabile. Parlare oggi di tammurriate significa volgere la nostra attenzione ad un linguaggio musicale antichissimo in cui musica, canto e ballo si intersecano in un rituale folklorico dai mille colori; un linguaggio che, caldo, passionale e “incalzante”, riesce a divenire espressione dell’animo e della religiosità di una comunità ma che trae le sue vere origini da culti pagani riconducibili alla Magna Grecia.

Osservare come suonatori di tammorre, cantori e ballerini, su un tempo binario, utilizzando una particolare scansione metrica dei versi (o endecasillabi con periodiche modifiche o un metro ottonario con l’inserimento di stereotipi) ed una gestualità codificata nei movimenti, riescono ad esprimere, in perfetta armonia, gioie e dolori, sacralità e devozione, ha sicuramente un suo fascino. Di certo chi non ha mai assistito ad una “tammurriata vera” difficilmente può immaginare: basta però partecipare nei mesi di aprile e maggio ad una delle feste popolari in onore di una delle Sette Madonne Campane, feste in cui essa trova principale collocazione, per comprendere quanto detto e cogliere al contempo la radice pagana legata ad essa. Denominatori comuni di tutte queste Madonne, infatti, sono la loro rappresentazione in trono e la collocazione delle loro festività nei mesi in cui la natura si risveglia e la civiltà contadina avverte la necessità di riti propiziatori per il raccolto, elementi questi tutti riconducibili al culto di un’altra divinità femminile che come la Madonna era simbolo di fertilità e anch’essa era collocata in trono: Demetra, dea delle messi. Facciamo dunque riferimento a circa duemilacinquecento anni fa, all’opera di colonizzazione della Magna Grecia in Italia (e ciò spiegherebbe il perché della diffusione delle tammurriate solo nell’entroterra del Sud e non del nord Italia) e a rituali cerimoniali in onore di una dea al cui culto si associava un ballo con l’utilizzo di un tamburo molto simile all’attuale tammorra. Come essa anche il tamburo di Demetra, e successivamente in epoca romana quello utilizzato nei rituali in onore di Cerere, veniva percosso a mani nude e le rappresentazioni su reperti archeologici, affreschi e bassorilievi, databili intorno al V secolo a.c., ne sono testimonianza tangibile. Accanto ai riti mariani in cui la Tammurriata appare nella sua forma più arcaica e verace, “il canto e il ballo sul tamburo” trovano anche modalità di espressione nelle più svariate attività ricreative e di aggregazione e si arricchiscono di contenuti che vanno ad esaltare i molteplici sentimenti dell’animo umano: la protesta, la sfida, il corteggiamento, la passione, l’amore infelice… Tammurriata dunque come forma di cultura rurale, come trasposizione cristiana di culti pagani, come esternazione dell’indole umana ma soprattutto come tuffo nel passato col quale è possibile far riemergere e rivivere nel presente certe tradizioni per non lasciarle cadere nell’oblio, per questo la Pro loco di Cervinara “A. Renna” è molto sensibile a curare e studiare il modo in cui queste tradizioni non vengano perdute. Una fra queste è la “TAMMORRA”.

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