Il Mastio


In un documento dell’anno 1000 dell’Abbazia S. Sofia di Benevento vi sarebbe un successivo riferimento al Castello di Cervinara.

Nel 1127, il Castello risultava distrutto ed i relativi possedimenti facevano capo al Castello di Arpaia.

Numerosi furono i feudatari di Cervinara, elencati nell’opuscolo “Per la storia di Cervinara, appunti di Giuseppe Pennetti” (Avellino 1891). Ricordiamo il Conte Malcerius, Malcerio, Malgerii o Malgerio), dopo il 1150, Roberto Sansoni de Molino (o De Molinis), signore di Arpaia e Cervinara.

In posizione di dominio del sottostante abitato, alle falde del Monte Pizzone, si trovano i ruderi del Castello di Cervinara, che i Cervinaresi chiamano “O’ Castellone”. La prima citazione del Castello si ritrova in un documento del XII secolo (Cronaca del Volturno), in cui un tale Frate Giovanni fece riferimento ad una permuta avvenuta nell’837, intercorsa tra l’Abbazia di S. Vincenzo al Volturno ed il Principe longobardo beneventano Sicardo, il quale ricevette “castrum quoque dicitur Cerbinaria in Caudetanis”, cioè, un castello ubicato a Cerbinaria nella Valle Caudina. Ciò fa ipotizzare l’edificazione in epoca longobarda di un fortilizio difensivo, che venne attorniato dalla parte più antica del borgo medioevale, corrispondente alle odierne frazioni Castello e Ioffredo.

Il Castello ed il dipendente borgo medioevale vennero saccheggiati e distrutti dalle milizie di Ruggiero II il Normanno, Re di Sicilia, tra il 1128 ed il 1139, durante la lotta contro Rainulfo Butterico, suo cognato, Conte di Avellino, che aveva ricevuto il feudo quale dote apportatagli dalla moglie Matilde de Hoteville, sorella di Ruggiero. La disputa sorse perchè Rainulfo evitò di sottostare agli obblighi militari connessi al possesso delle Contee ricevute (Avellino e Mercogliano). La moglie Matilde sfruttò l’occasione per lasciare il coniuge ed il fratello Ruggiero mosse le sue truppe contro l’infedele cognato, devastando non solo il borgo medioevale di Cervinara e relativo Castello, ma anche altri paesi della Valle Caudina.

La vicenda spiega perchè all’originaria struttura, rappresentata dal fortilizio longobardo, nel corso dei secoli, se ne siano sovrapposte altre, edificate dai successivi invasori.

I Normanni, infatti, ricostruirono ed ingrandirono il Castello, cosa che fecero anche gli Svevi, in quanto, le truppe di Federico II di Svevia, distrussero il borgo ed il Castello, che venne riedificato dal Conte Rainulfo II.

Col passare del tempo, da struttura difensiva, il Castello assunse la funzione di residenza dei feudatari, che dal Catalogo dei Baroni risultano essere, tra il XII ed il XIII secolo, Malgerio, Roberto de Molino, Soaldo Cappello.

Venne poi il turno degli Angioini. Col passare del tempo, da struttura difensiva, il Castello assunse la funzione di residenza dei feudatari. Nel 1270, la Regia Corte di Napoli affidò la gestione di diversi possedimenti cervinaresi a Cunzio (o Cunsio) de Morello, poi al figlio Errico, poi a Bartolomeo de Luciano, che, nel 1273, ebbe problemi con la giustizia, ed i beni tornarono alla Regia Corte, che li girò in gestione a feudatari angioini, Ferrerio de Charalt e poi nel 1279 a Isabella de Chauville, e nel 1288, altro nobile francese, Giovanni della Leonessa e poi a tanti altri feudatari, che tralasciamo per brevità, limitandoci a ricordare i Filangieri, i Carafa, i D’Avalos, per giungere al primo Marchese di Cervinara, il giudice Berardino de Barrionuevo.

Il periodo feudale, grazie alla fertilità del suolo, vide un notevole sviluppo dell’agricoltura cervinarese, tanto da determinare uno spostamento della popolazione e dell’economia del paese a valle, a partire dal XVI secolo, verso la pianura. La crescita delle coltivazioni agricole continuò fino al principio del XIX secolo.

L’assenza di sistematici interventi di consolidamento, determinarono il deperimento della struttura, che già nel XV secolo, si presentava alquanto malconcia. Ed infatti, nel secolo successivo, in un atto notarile del 1528, il castello venne definito “antiquo e mezzo rovinato”. Ciò spiega perchè la famiglia D’Avalos, beneficiari nel 1532 del feudo come donazione da parte del Regio Demanio spagnolo, piuttosto che impiegare enormi capitali per la ristrutturazione profonda del Castello, scelsero di utilizzarli per erigere, a partire dal 1562, un edificio gentilizio nell’odierna frazione Ferrari, la cui costruzione venne terminata solo nel 1581. Dal 1607 all’abolizione dei diritti feudali (1806), fu la volta dei Caracciolo di Sant’Eramo, con interessi anche nella prossima Rotondi, proprietari del Palazzo Marchesale nella frazione Ferrari, ampliato e rinnovato nella prima metà del XVII secolo dal Marchese Francesco Caracciolo, comprato successivamente dai Conti del Balzo, imparentati ai Caracciolo per linea femminile.

Del Castello restano i ruderi, la cui visita è preferibile quando il freddo impedisce la crescita della folta vegetazione, che, invece, ostruisce l’accesso al sito quando il tempo migliora. L’osservazione complessiva dei resti del Castello evidenzia come questo costituisse un quadrilatero, di cui residuano parti della cortina muraria, che consentono di delineare le torri di difesa, sette torrette, il donjon (torre principale) e parte della residenza dei feudatari locali. In particolare, l’osservazione del donjon o mastio quadrangolare, lascia trasparire come vi fosse una struttura sviluppata su tre piani, con volta a botte, a cui si accedeva utilizzando delle botole sovrapposte. Come tutti i castelli, quello di Cervinara era circondato da un fossato che impediva il facile assalto alla struttura e presentava un ponte levatoio, superato il quale, gli eventuali assalitori non ebbero vita facile, visto che accedevano ad uno spazio aperto su cui i difensori potevano infierire con frecce, olio e pece bollenti.

Fin qui la storia. Ma in merito al Castello di Cervinara, si narrano numerose leggende, come quella delle urla di dolore, che si udirebbero durante le notti, attribuite ad una nobildonna adultera perita nella sua cella per colpa del fuoco appiccato al Castello dagli invasori. Secondo un’altra leggenda, nei sotterranei del Castello, per la precisione nelle sue vie di fuga, ci sarebbe una gallina d’oro o dalle uova d’oro con i suoi sette pulcini. Infine, e qui siamo al confine tra storia e leggenda, nella canna fumaria di un camino del mastio, in passato sarebbe stato trovato da alcuni visitatori uno scheletro di un infante di pochi anni.

Ai piedi del fortilizio, precisamente delle mura, si trova un lavatoio pubblico tardo-medievale alimentato da una sorgente.

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